LA CORTE DEI CONTI 
 
 
          (Sezione regionale di controllo per il Piemonte) 
 
    La Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte,  composta  dai
Magistrati: 
        dott. Mario Pischedda Presidente f.f.; 
        dott. Giuseppe Maria Mezzapesa Consigliere; 
        dott.ssa Alessandra Olessina Primo Referendario; 
        dott. Massimo Valero Primo Referendario; 
        dott. Adriano Gribaudo Primo Referendario; 
        dott. Cristiano Baldi Referendario. 
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
parificazione del rendiconto della Regione Piemonte, per  l'esercizio
finanziario 2013. 
    Visti gli articoli 81, 97, 100, comma 2, 103, comma 2 e 119 della
Costituzione; 
    Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con  regio  decreto  12  luglio   1934,   n.   1214,   e   successive
modificazioni; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; 
    Vista la legge regionale 11 aprile  2001  n.  7,  in  materia  di
ordinamento contabile della Regione Piemonte; 
    Visto il disegno di legge della Giunta Regionale n. 10  trasmesso
a questa Sezione con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio  2014  e
depositato presso il Consiglio Regionale il 30 luglio  2014,  con  il
quale e' stata approvata  la  proposta  di  rendiconto  generale  per
l'esercizio finanziario 2013, completa del conto del bilancio  e  del
conto del patrimonio, unitamente  alla  relazione  dei  Revisori  dei
conti e alla relazione di accompagnamento; 
    Viste le leggi regionali: 28 dicembre 2012,  n.  19,  avente  per
oggetto «Autorizzazione all'esercizio provvisorio del bilancio  della
Regione Piemonte per l'anno 2013 e altre  disposizioni  finanziarie»;
30   gennaio   2013,   n.   2,   avente    per    oggetto    «Proroga
dell'autorizzazione  all'esercizio  provvisorio  del  bilancio  della
Regione Piemonte per l'anno finanziario 2013»; 27 marzo 2013,  n.  4,
avente   per   oggetto   «Ulteriore    proroga    dell'autorizzazione
all'esercizio provvisorio del Bilancio  della  Regione  Piemonte  per
Panno  2013»;  7  maggio  2013,  n.  8,  avente  per  oggetto  «Legge
finanziaria per l'anno 2013»; 7 maggio 2013, n. 9 avente per  oggetto
«Bilancio di  previsione  per  l'anno  finanziarlo  2013  e  bilancio
pluriennale per gli anni finanziari 2013-2015»; 6 agosto 2013, n. 15,
avente per oggetto «Rendiconto generale per  l'esercizio  finanziario
2012»; 6 agosto 2013, n. 16,  avente  per  oggetto  «Assestamento  al
bilancio di previsione per l'anno  finanziario  2013  e  al  bilancio
pluriennale per gli anni finanziari 2013/2015»; 29 ottobre  2013,  n.
19, avente per oggetto «Ulteriori disposizioni finanziarie per l'anno
2013 e pluriennale 2013-2015»; 
    Vista l'ordinanza n. 41 dell'11 settembre 2014, con la  quale  il
Presidente f.f. di questa Sezione regionale di controllo  ha  fissato
l'odierna  udienza,  per  la  decisione   sulla   parificazione   del
rendiconto generale della  Regione  Piemonte  relativo  all'esercizio
finanziario 2013; 
    Uditi nella pubblica udienza del 10 ottobre 2014 il Presidente ed
i  relatori,  il  Procuratore  regionale  Piero  Carlo  Floreani,  il
Presidente della Giunta regionale del Piemonte Sergio  Chiamparino  e
l'Assessore al Bilancio della Regione Piemonte Aldo Reschigna; 
    Vista la decisione in pari data con la quale si e' proceduto alla
parifica, nelle sue componenti del conto del bilancio e del conto del
patrimonio,  del  rendiconto  generale  della  Regione  Piemonte  per
l'esercizio 2013, adottato dalla Giunta regionale in data  25  giugno
2014, ad eccezione dei capitoli 59300 (UPB DB902) e 59350 (UPB DB902)
in entrata e dei capitoli 200/0 (UPB DB09010), 156981 (UPB  D620151),
156985  (UPB  DB20151)  in  uscita,  e  del  quadro  riassuntivo  del
disavanzo  finanziario,  come  risultante  dal  prospetto   riportato
all'art. 4 del disegno di legge di approvazione del rendiconto stesso
e della voce delle passivita' patrimoniali del conto del  patrimonio,
relative alla restituzione delle anticipazioni di liquidita' concesse
ai sensi del decreto legge  8  aprile  2013  n.  35,  convertito  con
modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con nota n. 10.000/SB0100/PRE del 29 luglio  2014  il  Presidente
della Regione Piemonte ha trasmesso a questa Sezione, ai  fini  della
parifica,  il  rendiconto  generale  della   Regione   Piemonte   per
l'esercizio 2013, completo del conto del bilancio  e  del  conto  del
patrimonio, unitamente alla relazione dei Revisori  dei  conti,  alla
relazione di accompagnamento e al disegno di  legge  approvato  dalla
Giunta regionale nella seduta del 25 giugno 2014. 
    Questa Sezione regionale di controllo, terminata l'istruttoria  e
le verifiche di competenza, peraltro gia'  iniziate  sulla  base  dei
dati di preconsuntivo, con deliberazione n. 188 in data  26  agosto-9
settembre  2014  ha  approvato  la  bozza  della  relazione  prevista
dall'art. 1, comma 5, del decreto legge  10  ottobre  2012,  n.  174,
sopra richiamato e dall'art. 41 del regio decreto 12 luglio 1934,  n.
1214, ed ha trasmesso la stessa all'Amministrazione ed al Procuratore
regionale. 
    Con ordinanza n. 40 in data 10 settembre il  Presidente  f.f.  ha
fissato per il 23 settembre apposita adunanza pubblica,  al  fine  di
garantire il contraddittorio sulle osservazioni contenute nella bozza
di relazione. 
    L'Amministrazione ha depositato le proprie osservazioni, che sono
state illustrate nella predetta adunanza istruttoria alla quale hanno
partecipato   il   Procuratore   regionale   ed   i    rappresentanti
dell'Amministrazione nelle persone del vice Presidente della  Giunta,
dell'Assessore al bilancio e dell'Assessore alla sanita'. 
    Al termine dell'adunanza il Collegio ha fissato il termine del 1°
ottobre per il deposito di ulteriori memorie scritte e  di  eventuali
repliche ed ha sollecitato le parti, anche  ai  sensi  dell'art.  101
c.p.c., a pronunziarsi espressamente sui dubbi  di  costituzionalita'
prospettati sulle leggi regionali con  le  quali  e'  stato  disposto
l'utilizzo delle anticipazioni di liquidita' concesse dallo Stato  ai
sensi  del  decreto  legge  8  aprile  2013  n.  35,  convertito  con
modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64. 
    Su  quest'ultimo  punto,  l'Amministrazione  ha  depositato,  nei
termini prescritti, una memoria, osservando quanto segue: 
        «In merito ai presunti dubbi di costituzionalita' sulle leggi
regionali  con  le  quali  e'   stato   disposto   l'utilizzo   delle
anticipazioni  di  liquidita'   concesse   dallo   Stato   ai   sensi
del decreto-legge n. 35/2013, per violazione degli  art.  81,  quarto
comma e 119, sesto comma della Costituzione, si rammenta che la Corte
costituzionale, con le recenti sentenze n. 39/2014 e n. 40/2014 si e'
occupata della definizione  e  puntualizzazione  dei  compiti  e  dei
limiti  cui  sono  chiamati  i  giudici  contabili,  ai  sensi  della
normativa implementata dal decreto-legge n. 174/2012. 
    Con la prima delle due sentenze  (n.  39/2014),  la  Consulta  ha
ritenuto che le  attribuzioni  della  Corte  dei  Conti  non  possano
spingersi sino a vincolare il contenuto degli atti  legislativi  o  a
privarli dei loro effetti, in quanto si configurerebbe come  invasivo
dell'autonomia legislativa regionale, nonche' travalicante  i  poteri
riconosciuti alla stessa Corte dei Conti. 
    La Corte costituzionale e'  pervenuta  ad  una  tale  conclusione
ritenendo che, nel caso di specie, il sindacato  giurisdizionale  del
giudice contabile  operasse  nei  confronti  dei  bilanci  regionali,
approvati con legge e in quanto tali solo analogamente  modificabili.
Un potere come  quello  attribuito  alla  Corte  dei  conti  avrebbe,
invece,  finito  per   incidere   su   provvedimenti   di   carattere
legislativo, mortificando cosi' l'autonomia dei  consigli  regionali,
non vincolabili nelle loro decisioni. 
    L'impugnato comma 7 dell'art. 1  del  decreto-legge  n.  174  del
2012, nella parte in  cui  si  riferisce  al  controllo  dei  bilanci
preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni,  contrasta  con
gli invocati parametri costituzionali e  statutari  che  garantiscono
alle  Regioni  la  potesta'  legislativa  nelle   materie   di   loro
competenza. 
    La Corte  costituzionale,  in  particolare  con  la  sentenza  n.
40/2014, ha altresi' precisato la competenza della Corte dei conti in
materia  di  controllo  di  legalita'  e  regolarita'  sulla  finanza
pubblica territoriale, ribadendo il  carattere  di  assoluta  cogenza
delle decisioni assunte nei confronti degli  enti  destinatari  (enti
locali), con la sola eccezione dei bilanci  delle  regioni  approvati
con legge regionale, allo scopo di prevenire o  contrastare  gestioni
contabili non corrette e,  in  quanto  tali,  in  grado  di  alterare
l'equilibrio del  bilancio  consolidato  dello  Stato,  da  ritenersi
effettuate in violazione del principio del «pareggio di bilancio»  ex
artt. 81, 97, comma primo, e 119, comma primo, della Costituzione. 
    L'eccezione  e  l'esclusione  dei  bilanci  regionali,   infatti,
deriva: 
      a) dalla considerazione che l'art. 1, comma 7, decreto-legge n.
174 del 2012, conv. in L.  n.  231  del  2012,  e'  stato  dichiarato
illegittimo nella parte in cui finiva per attribuire alla  Corte  dei
conti, sezione controllo, il potere di sindacare le leggi  regionali,
di condizionarne il contenuto e/o di inibirne l'efficacia; 
      b) dalla differenza tra le norme del  TUEL  e  quelle  precipue
della contabilita' regionale, in 54 particolare per cio' che concerne
lo strumento normativo di approvazione dei documenti contabili. 
    E' pur vero, pero',  che  e'  stato  recentemente  introdotto  un
radicale cambiamento  della  funzione  del  controllo,  che,  da  una
funzione statica, diretta ad accertare il «pareggio del bilancio», e'
passata ad una funzione dinamica, diretta ad «assicurare l'equilibrio
del bilancio». 
    Non si discute piu' di «pareggio» (che era un dato proprio  della
visuale statica del bilancio), ma di «equilibrio», termine  ben  piu'
elastico, che vale a sganciare il principio del pareggio del bilancio
dal principio dell'annualita' del bilancio, tenendo conto delle  fasi
del ciclo economico, ponendo in evidenza la possibilita' di riferirsi
a periodi di medio termine, come  quello  rappresentato  dai  bilanci
pluriennali. 
    Si rammenta, pero', che seppur l'art. 20 della legge 24  dicembre
2012, n. 243 preveda che la Corte dei conti possa  gia'  svolgere  il
controllo successivo sul rispetto dell'equilibrio dei  bilanci  delle
regioni e degli enti locali, tuttavia l'art. 9 della stessa legge  24
dicembre 2012, n. 243 - capo IV, concernente l'equilibrio dei bilanci
delle Regioni e degli enti locali, ne prevede un'applicazione dal  1°
gennaio 2016. 
    In conclusione, si condivide l'attribuzione alla Corte dei  conti
di un potere collaborativo  di  suggerire  «misure  correttive»,  che
l'amministrazione, pero', deve decidere ed attuare,  tenendosi  cosi'
distinta l'attivita' amministrativa delle singole amministrazioni  da
quella indipendente ed  autonoma  del  «controllo»  della  Corte  dei
conti, considerata come funzione autonoma,  indipendente  e  sovrana,
nell'ambito dell'ordinamento dello Stato comunita'». 
    Anche il Procuratore Regionale ha depositato,  nei  termini,  una
memoria  nella  quale  «considera  non  rilevante  e   manifestamente
infondata la questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata
dalla Sezione di controllo nella Relazione sulla gestione finanziaria
e sulla regolarita' dell'azione amministrativa della regione Piemonte
per l'esercizio finanziario 2013.» 
    A tale conclusione il Procuratore Regionale  perviene,  rilevando
che «una violazione di precetti costituzionali non sembra profilarsi,
per la ragione che, da un lato l'efficace espletamento dei  controlli
e'  in  grado  di  consentire  il  riequilibrio   contabile   laddove
l'applicazione  concreta  dell'Amministrazione   si   rivelasse   non
conforme a legge, trattandosi di applicazione di regole che  di'  per
se' non genera nuove spese,  dall'altro  che,  riferendosi  le  leggi
richiamate della cui costituzionalita'  si  dubita  ad  un  esercizio
ormai concluso, la questione non pare rilevante, stante l'inidoneita'
della pronuncia che intervenisse  sulla  materia  ad  incidere  sulla
disciplina concreta  della  spesa  in  realta'  gia'  realizzata.  La
corretta  contabilizzazione  dei  fondi  che  si  considerano  appare
piuttosto collegata alla necessita' che i  controlli  di  riferimento
abbiano ad oggetto l'adeguato impiego delle risorse, in sostanza, non
idonee a generare nuove spese,  bensi'  ad  attuare  una  manovra  di
riduzione del debito in realta'  rivelatasi  non  possibile  a  causa
della   consistenza   forte    dell'indebitamento.    Il    parametro
costituzionale rinvenibile nell'art. 81 e' pertanto inadeguato, posto
che non e' astrattamente possibile riscontrare una violazione per  il
solo  fatto  che   le   risorse   non   siano   state   correttamente
contabilizzate. Per quanto attiene all'art. 119,  parimenti  chiamato
in causa, va preliminarmente rilevato che  le  relative  censure  non
possono formare oggetto di questioni di  legittimita'  costituzionale
nell'ambito del giudizio di  parificazione,  se  non  quando  vertono
direttamente  sulle  leggi  di  approvazione  del  rendiconto  o  del
bilancio, atteso che qui, diversamente, la legittimazione della Corte
e' limitata alla proposizione  di  questioni  aventi  come  parametro
costituzionale di riferimento il solo art. 81 (arg.  ex  C.  cost.  6
marzo 2014 n. 39; cfr. C. cost. 9 febbraio 2011 n.  37).  Qualora  si
ritenesse  che  il  quinto  capoverso  dell'art.  119  possa   essere
minacciato dalle leggi regionali che si considerano in  relazione  al
vincolo all'indebitamento ivi previsto, va osservato che comunque non
consta l'avvenuta utilizzazione delle  risorse  del  decreto  35  per
spese diverse da quelle costituenti debito esigibile alla data del 31
dicembre 2012.» 
    In data 6 ottobre il  Procuratore  Regionale  ha  depositato  una
seconda memoria scritta nella quale dopo aver richiamato la  delibera
19/2014 della Sezione delle Autonomie di questa Corte, in  base  alla
quale le anticipazioni di liquidita' vanno contabilizzate in  maniera
che esse non possano concorrere alla determinazione del risultato  di
amministrazione,  ritiene  che  «le  modalita'  di  contabilizzazione
adottate dalla Regione non sembrano contrastare di per  se',  dunque,
con la disciplina particolare del decreto legge  35,  atteso  che,  a
fronte dell'obbligo di restituzione in rate annuali costanti fino  al
2043, appare coerente l'iscrizione nel conto del bilancio della quota
capitale e della corrispondente quota  interessi  di  competenza.  Il
riferimento all'archetipo negoziale del mutuo  si  rivela,  pertanto,
pertinente». 
    All'odierna udienza le parti come in epigrafe rappresentate hanno
sostanzialmente confermato le argomentazioni sopra esposte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. L'art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.  174,
convertito con modificazioni nella legge 7  dicembre  2012,  n.  213,
dispone che «Il rendiconto generale della Regione e' parificato dalla
sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai  sensi  degli
articoli 39, 40 e 41 del testo unico  di  cui  al  regio  decreto  12
luglio 1934, n. 1214. Alla decisione  di  parifica  e'  allegata  una
relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue  osservazioni
in merito alla legittimita' ed  alla  regolarita'  della  gestione  e
propone le misure di correzione  e  gli  interventi  di  riforma  che
ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio
del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della  spesa.
La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al  presidente
della giunta regionale e al consiglio regionale». 
    Gli  articoli  del  T.U.  delle  leggi  sulla  Corte  dei   conti
richiamati si riferiscono alla parifica del rendiconto generale dello
Stato e disciplinano la procedura del giudizio di parificazione (art.
40), il profilo contenutistico (art.  39)  e  la  contestualizzazione
dell'attivita' di parifica con una  relazione  sul  rendiconto  (art.
41). 
    L'estensione del giudizio di parifica alle Sezioni  regionali  di
controllo della Corte dei conti e' coerente con il ruolo di  «garante
imparziale  dell'equilibrio  economico  -  finanziario  del   settore
pubblico» che il legislatore ha attribuito alla Corte dei conti e che
e' stato confermato dalla Corte costituzionale  con  la  sentenza  n.
60/2013, nella quale, richiamando anche la pregressa  giurisprudenza,
e' stato affermato  che  «alla  Corte  dei  conti  e'  attribuito  il
controllo sull'equilibrio economico-finanziario del  complesso  delle
amministrazioni  pubbliche  a  tutela  dell'unita'  economica   della
Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81,  119
e 120 Cost.) e ai  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)». Infatti, il
giudizio di parifica per le Regioni  a  statuto  ordinario  e'  stato
introdotto, come precisa  il  primo  comma  dell'art.  1  del  citato
decreto-legge n. 174/2012, «al fine di  rafforzare  il  coordinamento
della finanza pubblica, in  particolare  tra  i  livelli  di  governo
statale  e  regionale,  e  di  garantire  il  rispetto  dei   vincoli
finanziari   derivanti   dall'appartenenza   dell'Italia   all'Unione
europea,  le  disposizioni  del  presente  articolo  sono  volte   ad
adeguare, ai sensi degli  articoli  28,  81,  97,  100  e  119  della
Costituzione, il controllo  della  Corte  dei  conti  sulla  gestione
finanziaria delle regioni di cui all'art. 3, comma 5, della legge  14
gennaio 1994, n. 20, e all'art. 7, comma  7,  della  legge  5  giugno
2003, n. 131, e successive modificazioni». 
    2. Dal conto del bilancio dei rendiconto generale  della  Regione
Piemonte per l'esercizio 2013 risulta un disavanzo  d'amministrazione
pari ad euro 364.983.307,72, risultante dal saldo algebrico tra fondo
cassa (+598,037.823,71), residui attivi (+3.328.145.970,67) e residui
passivi (-4.291.167.102,10). 
    L'analisi effettuata dalla  Sezione  ha  evidenziato  che  questo
risultato deriva anche dall'utilizzo, come fonti di finanziamento del
pregresso disavanzo d'amministrazione e  di  alcune  nuove  spese  in
materia sanitaria, delle risorse messe a disposizione dallo Stato  in
applicazione degli articoli 2 e 3 dei decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35, convertito in legge 6 giugno 2013, n. 64. L'utilizzo in tal senso
delle suddette risorse finanziarie  e'  stato  disposto  dalle  leggi
regionali n. 16 del 6 agosto 2013 e n. 19 del 29 ottobre 2013. 
    In particolare, nel corso  del  2013,  la  Regione  Piemonte,  In
virtu'  delle  norme  sopra  richiamate,  ha   sottoscritto   quattro
contratti con il Ministero dell'Economia e delle  Finanze,  ottenendo
risorse   finanziarie   per   un   importo   complessivo   di    euro
2.554.603.200,01. 
    Tali risorse finanziarie hanno avuto la seguente destinazione: 
        a) euro 447.693.392,78, concessi per l'estinzione dei  debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31  dicembre  2012,  ovvero
dei  debiti  per  i  quali  sia  stata  emessa  fattura  o  richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine, diversi da quelli
finanziari e sanitari. L'importo  e'  stato  destinato  a  finanziare
parzialmente il disavanzo risultante dal  conto  del  bil'ancio  2012
(euro 1.150.257.926,03). La relativa variazione di bilancio e'  stata
disposta in sede di assestamento con  la  legge  regionale  6  agosto
2013, n. 16, che ha previsto in entrata il capitolo 59300 (UPB DB902)
con uno stanziamento di euro 447.693.392,78, interamente riscosso, ed
in  uscita  ha  iscritto  lo  stesso  importo  quale   disavanzo   di
amministrazione (capitolo 200/0 UPB D809010). 
        b) euro 803.724,000,00, concessi per l'estinzione dei  debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31  dicembre  2012,  ovvero
dei  debiti  per  i  quali  sia  stata  emessa  fattura  o  richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto  termine  degli  enti  del
Servizio  Sanitario  Nazionale.  L'importo  e'  stato   destinato   a
finanziare il capitolo 156981 avente per oggetto «trasferimenti  alle
aziende sanitarie regionali per  Perogazione  delle  risorse  di  cui
all'anticipazione di liquidita' ai sensi dell'art. 3,  comma  2,  del
decreto  legge  n.  35/2013»,  per  allineamento  con  la  situazione
patrimoniale delle  aziende  sanitarie  regionali  (importo  rilevato
dalla  Sezione  in  sede  di  parificazione  2012  a  rettifica,   in
incremento, del disavanzo 2012  di'  euro  1.150.257.926),  Anche  in
questo caso la variazione del bilancio e' stata disposta in  sede  di
assestamento di bilancio con la legge regionale 6 agosto 2013, n. 16,
che ha previsto in entrata il capitolo 59350 (UPB DB902) ed in uscita
il capitolo 156981 (UPB DB20151), entrambi con  uno  stanziamento  di
euro 803.724.000,00 ed i  relativi  importi  sono  stati  interamente
riscossi e pagati. 
        c) euro 660.206.607,23, concessi per l'estinzione dei  debiti
certi, liquidi ed esigibili alla data del 31  dicembre  2012,  ovvero
dei  debiti  per  i  quali  sia  stata  emessa  fattura  o  richiesta
equivalente di pagamento entro il predetto termine diversi da  quelli
finanziari e sanitari; l'importo  e'  stato  destinato  ad  ulteriore
parziale  finanziamento  del  disavanzo  risultante  dal  conto   del
bilancio 2012, la relativa variazione di bilancio e'  stata  disposta
dall'allegato A) della Legge 29 ottobre 2013, n. 19, che  in  entrata
ha incrementato il capitolo 59300 (UPB DB902) di euro 660.206.607,23,
Interamente riscossi, ed in uscita ha incrementato di pari importo il
disavanzo d'amministrazione 2012 da  ripianare  (capitolo  200/0  UPB
D609010). 
        d) euro 642.979.200,00, concessi per il pagamento dei  debiti
certi liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei
debiti per i quali sia stata emessa fattura o  richiesta  equivalente
di pagamento entro  il  predetto  termine  degli  enti  del  Servizio
Sanitario   Nazionale.   L'importo   (emerso   successivamente   alla
parificazione del rendiconto 2012) e' stato destinato a ripianare  le
perdite derivanti  dai  c.d.  «ammortamenti  non  sterilizzati  delle
aziende sanitarie» e la relativa  variazione  di  bilancio  e'  stata
disposta dall'allegato C) della Legge 29 ottobre 2013 n. 19,  che  ha
incrementato in  entrata  il  capitolo  59350  (UPB  D6902)  di  euro
642.979.200,00, interamente riscossi, ed in uscita  ha  istituito  il
capitolo 156985 (UPB DB20151) avente per oggetto «trasferimenti  alle
aziende sanitarie regionali per l'erogazione  delle  risorse  di  cui
all'anticipazione di liquidita' al sensi dell'art. 3,  comma  2,  del
decreto-legge n. 35/2013 e dell'art. 13, comma 6,  del  decreto-legge
102/2013», con uno stanziamento di  euro  642.979.200,00  interamente
pagato. 
    La  somma  delle  variazioni  sopra  descritte,  pari   ad   euro
2.554.603.200,01,  corrisponde-:  al  totale  dei  quattro  contratti
stipulati con il MEF. 
    La  Sezione  dubita  della  legittimita'   costituzionale   delle
suddette variazioni di  bilancio  e,  conseguentemente,  delle  leggi
regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che le hanno disposte. 
    Tuttavia, prima di illustrare la non  manifesta  infondatezza  di
tali dubbi, si ritiene necessario soffermarsi  preliminarmente  sulla
legittimazione di questa Corte  ad  adire  il  Giudice  delle  Leggi,
nonche' sulla rilevanza della questione nel giudizio in corso. 
    3.  Per  quanto  riguarda  la  legittimazione  della  Sezione  di
controllo a sollevare questioni  di  legittimita'  costituzionale  in
sede di parificazione del rendiconto, si osserva che questo  giudizio
si svolge con le formalita' della giurisdizione contenziosa,  prevede
la partecipazione del Procuratore generale in contraddittorio  con  i
rappresentanti dell'Amministrazione e si conclude con  una  pronunzia
adottata  in  esito  a  pubblica  udienza,  sicche'  la   consolidata
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n.  165/1963,  n.
121/1966, n. 142/1968, n. 244/1995 e  n.  213/2008)  ha  riconosciuto
«alla Corte dei conti, in  sede  di  giudizio  di  parificazione  del
bilancio, la legittimazione a promuovere, In riferimento all'art.  81
della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale, avverso
tutte  quelle  disposizioni  di   legge   che   determinino   effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto  stesso  di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire  sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con  il
sistema dei risultati differenziali» (sentenza n. 213/2008). 
    Sebbene le pronunce della Corte costituzionale, sopra richiamate,
siano state  emesse  in  riferimento  al  giudizio  di  parifica  del
rendiconto dello Stato e delle Regioni ad autonomia speciale, ritiene
la Sezione  che  i  principi  espressi  siano  applicabili  anche  al
giudizio  di  parifica  del  rendiconto  delle  Regioni   a   statuto
ordinario.  Infatti,  l'unica  differenza  riscontrabile  tra  i  due
procedimenti e' data  dall'organo  innanzi  al  quale  si  svolge  il
giudizio, che non sono le Sezioni Riunite, centrali o  regionali,  ma
le Sezioni regionali di controllo. Tale  circostanza,  tuttavia,  non
pare rilevante atteso che,  da  un  lato,  la  legge  attribuisce  la
titolarita' del giudizio di parificazione alle Sezioni  regionali  di
controllo, non essendo previste nelle Regioni a statuto ordinario  le
Sezioni riunite, e dall'altro che la Sezione regionale  di  controllo
e' composta, anch'essa, da magistrati contabili  «dotati  delle  piu'
ampie garanzie di indipendenza (art. 100, secondo comma, Cost.), che,
analogamente ai magistrati dell'ordine  giudiziario,  si  distinguono
tra loro solo per diversita' di funzioni  (art.  10  legge  21  marzo
1953,  n.  161)»  (Corte  costituzionale,  sentenza   n.   226/1976).
Peraltro, trattasi di modalita' organizzativa gia'  prevista  per  la
Regione Friuli Venezia Giulia dall'art. 33, comma 3,  del  D.P.R.  25
novembre 1975, n. 902. 
    Quel che viene in rilievo, invece, e' la funzione esercitata, che
e' la stessa e si svolge nello stesso modo, sia innanzi alle  Sezioni
riunite, sia davanti alla Sezione regionale  di  controllo,  come  si
ricava dai richiamo espresso agli articoli 39, 40 e 41 del  TU  della
Corte dei conti contenuto nella norma che ha introdotto  il  giudizio
di parificazione nelle Regioni a statuto ordinario (art. 1, comma  5,
del di n. 174/2012 sopra richiamato). 
    Va  inoltre  ricordato  che  le  Sezioni  Riunite   in   speciale
composizione, con sentenza n. 27/2014, decidendo il ricorso  proposto
da  un'Amministrazione  regionale,  hanno  confermato  il   carattere
giurisdizionale  della  pronunzia  emessa   in   questo   particolare
giudizio. 
    La legittimazione  di  questa  Corte  a  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale, tuttavia, e' stata finora  riconosciuta,
dalla consolidata giurisprudenza costituzionale  con  riferimento  al
solo art. 81 della Costituzione. In  particolare,  il  Giudice  delle
leggi, dopo aver premesso che la Corte dei conti svolge «una funzione
di garanzia dell'ordinamento», di «controllo  esterno,  rigorosamente
neutrale  e  disinteressato  preordinato   a   tutela   del   diritto
oggettivo», ha affermato che «tali caratteri  costituiscono  Indubbio
fondamento della legittimazione della Corte  dei  conti  a  sollevare
questioni di costituzionalita' limitatamente a profili attinenti alla
copertura finanziaria di leggi di spesa,  perche'  il  riconoscimento
della relativa legittimazione,  legata  alla  specificita'  dei  suoi
compiti nel quadro della finanza pubblica, si  giustifica  anche  con
l'esigenza di ammettere al sindacato costituzionale leggi  che,  come
nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero  per  altra
via, ad essa sottoposte» (sent. n.  226  del  1976).  E'  proprio  in
relazione a queste ipotesi che la Corte ha auspicato  (sent.  n.  406
del 1989) che  quando  l'accesso  al  suo  sindacato  sia  reso  poco
agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza
dell'art. 81 della Costituzione,  i  meccanismi  di  accesso  debbano
essere arricchiti. La Corte dei conti e' la sede piu'  adatta  a  far
valere quei profili, e cio' in ragione  della  peculiare  natura  dei
suoi compiti, essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione
delle risorse finanziarie» (sentenza n. 384/1991). 
    Ritiene la Sezione che le argomentazioni sopra riportate  debbano
essere adeguate al  mutato  quadro  dell'ordinamento  costituzionale.
Infatti, mentre al momento delle pronunzie sopra  richiamate  l'unica
norma  della  Costituzione  in  materia  di  finanza   pubblica   era
costituita dall'art. 81, la legge costituzionale n.  3/2001,  con  la
nuova formulazione dell'art. 119 sesto comma della  Costituzione,  ha
introdotto il principio che limita il ricorso all'indebitamento  solo
per spese di investimento. Successivamente, la  legge  costituzionale
n. 1/2012 ha previsto ulteriori norme costituzionali  in  materia  di
finanza pubblica, tra tutte il nuovo art. 97,  primo  comma.  Inoltre
l'art. 20,  primo  comma,  della  legge  24  dicembre  2012,  n.  243
contenente «disposizioni per l'attuazione del principio del  pareggio
di bilancio ai sensi dell'art. 81, sesto comma,  della  Costituzione»
affida proprio alla Corte dei conti «il  controllo  successivo  sulla
gestione dei bilanci degli enti di cui agli articoli 9 e 13, ai  fini
del coordinamento  della  finanza  -pubblica  e  dell'equilibrio  dei
bilanci di cui all'art. 97 della Costituzione». 
    A cio'  si  aggiunga  che,  come  precisato  dalla  stessa  Corte
costituzionale con la recente 3»: «sentenza n. 188/2014,  «il  valore
costituzionalmente protetto del divieto di  indebitamento  per  spese
diverse dagli investimenti trova espressa enunciazione  nel  predetto
art.  119,  sesto  comma,  Cost.,  ma  viene  declinato  -  in   modo
assolutamente coerente ed integrato, secondo esigenze  meritevoli  di
disciplina uniforme sull'intero  territorio  nazionale  -  attraverso
altri parametri costituzionali, quali i citati artt. 81, 117, secondo
comma, lettera 1), e 117, terzo comma,  Cost.,  venendo  ad  assumere
consistenza di vera e propria clausola generale in grado  di  colpire
direttamente - indipendentemente dall'esistenza di norme  applicative
nella pertinente  legislazione  di  settore  -  tutti  gli  enunciati
normativi  che  vi  si  pongono   in   contrasto   (sulla   immediata
precettivita' dei parametri costituzionali inerenti agli equilibri di
bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza n. 70 del 2012)»
e che il precetto costituzionale sotteso all'art. 119 sesto comma  e'
«inscindibilmente  collegato  ed   integrato   con   altri   principi
costituzionali quali omissis) la tutela degli equilibri  di  bilancio
(art. 81 Cost., sia  nella  precedente  formulazione  che  in  quella
introdotta dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n.  1,  recante
«Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale»)». Del resto «la ratio del divieto  di  indebitamento
per finalita' diverse dagli  investimenti  trova  fondamento  in  una
nozione economica di relativa semplicita'. Infatti, risulta di chiara
evidenza  che  destinazioni   diverse   dall'investimento   finiscono
inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell'ente pubblico  che
ricorre al credito» (sentenza n, 188/2014 citata). 
    Va, infine, evidenziato che il giudizio  di  parificazione,  allo
stato della legislazione vigente,  e'  l'unica  possibilita'  offerta
dall'ordinamento per sottoporre a scrutinio di  costituzionalita'  in
via incidentale, in riferimento ai principi costituzionali In materia
di finanza pubblica, le disposizioni legislative che,  incidendo  sui
singoli  capitoli,  modificano  l'articolazione  del  bilancio  e  ne
possono alterare gli equilibri complessivi. Conseguentemente, ove  si
escludesse la legittimazione di questa Corte a sollevare questioni di
costituzionalita' in riferimento ai parametri sopra  individuati,  si
verrebbe a creare, di fatto, una sorta di spazio  legislativo  immune
dal controllo di costituzionalita'  attivabile  in  via  incidentale,
laddove  la  giurisprudenza   costituzionale   ha   riconosciuto   la
legittimazione della Sezione di controllo a  sollevare  questioni  di
legittimita'  costituzionale  anche  in  relazione  all'esigenza   di
assicurare «al sindacato della Corte costituzionale leggi  che,  come
nella fattispecie in esame, piu' difficilmente verrebbero, per  altra
via, ad essa sottoposte» (Corte costituzionale sentenza n, 226/1976). 
    Ritiene, pertanto, la Sezione di essere legittimata  a  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale, non  solo  con  riferimento
all'art. 81 della Costituzione, ma anche  con  riguardo  a  tutte  le
norme costituzionali in materia di finanza pubblica e, dunque,  anche
con riferimento all'art. 119, sesto comma. 
    Alla  luce  di  quanto   sopra   esposto   appaiono   del   tutto
inconferenti, e comunque superate, le considerazioni formulate  dalle
parti sulla mancanza di legittimazione di questa  Corte  a  sollevare
questione di legittimita' costituzionale. 
    4. Al fine di evidenziare  la  rilevanza  nel  presente  giudizio
della  questione  di  costituzionalita'  che  si  intende  sollevare,
confutando anche le controdeduzioni mosse dalla Procura regionale sui
punto, la Sezione ritiene necessario precisare  quale  sia  l'oggetto
del giudizio di parifica. 
    L'art. 39 del testo unico  delle  leggi  sulla  Corte  dei  conti
(regio decreto 12 luglio 1934, n, 1214),al quale l'art. 1,  comma  5,
del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, l'art.  1,  comma  5,  del
decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 rinvia, dispone che  «La  Corte
verifica  il  rendiconto  generale  dello  Stato  e  ne  confronta  i
risultati tanto per le entrate, quanto  per  le  spese,  ponendoli  a
riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto  verifica  se  le
entrate riscosse e versate ed i resti  da  riscuotere  e  da  versare
risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti  nei  conti
periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte  dai  singoli
ministeri;  se  le  spese  ordinate  e  pagate  durante   l'esercizio
concordino con le scritture  tenute  o  controllate  dalla  Corte  ed
accerta i residui passivi in  base  alle  dimostrazioni  allegate  ai
decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture.  La  Corte
con eguali accertamenti verifica i rendiconti, allegati al rendiconto
generale, delle aziende,  gestioni  ed  amministrazioni  statali  con
ordinamento autonomo soggette al suo riscontro». 
    In un primo tempo, la Corte costituzionale,  pur  ravvisando  nel
giudizio di parifica del rendiconto generale dello Stato la  presenza
delle condizioni ipotizzate dall'art. 1 della legge costituzionale  9
febbraio 1948, n. 1 per la proposizione davanti ad essa di  questioni
di legittimita' costituzionale, dal tenore letterale del citato  art.
39 aveva tratto la conclusione che esse  non  potevano  investire  la
legge di bilancio o le leggi di spesa, attesa la loro irrilevanza  ai
fini  del  decidere,  in  considerazione  dei  peculiare  ambito   di
cognizione dei giudizio di parifica (Corte  costituzionale,  sentenza
n. 142/68). 
    Successivamente,  prendendo  atto  dell'intervenuta  riforma  del
bilancio che, essendosi  trasformato  da  «strumento  descrittivo  di
fenomeni  di  mera   erogazione   finanziaria»   in   «strumento   di
realizzazione di nuove funzioni di governo (come la programmazione di
bilancio, le operazioni di tesoreria, ecc.) e  piu'  in  generale  di
politica economica  e  finanziaria»,  persegue,  tra  le  altre,  «la
finalita' di meglio programmare, definire e controllare le entrate  e
le spese pubbliche, per  assicurare  l'equilibrio  finanziario  e  la
sostanziale  osservanza,  in  una  proiezione  temporale  che  supera
l'anno, dei principi enunciati dall'art. 81 della  Costituzione»,  il
Giudice delle leggi, con sentenza n. 244/1995, ha  ritenuto  che  «la
funzione di riscontro, che  costituisce  l'essenza  del  giudizio  di
parificazione, attiene anche alla  verifica  degli  scostamenti  che,
negli equilibri stabiliti nel bilancio preventivo, si evidenziano  in
sede consuntiva, coerentemente con  la  previsione  del  primo  comma
dell'art  39  del  regio  decreto   12   luglio   1934,   n,   1214».
Conseguentemente,  pur  precisando  che  oggetto  del   giudizio   di
parificazione e' il riscontro e la verifica, rispetto alla  legge  di
bilancio, delle risultanze del rendiconto generale, la suprema  Corte
ha ritenuto che, non potendo ignorarsi il rilievo  che  il  raffronto
fra dati previsionali e consuntivi viene ad avere nel nuovo  contesto
normativa, «la decisione da assumere non puo' non vertere anche sulla
verifica, a consuntivo, del rispetto degli  accennati  equilibri,  in
relazione, tra l'altro, ai vincoli posti dalla legge finanziaria». 
    Questo  orientamento  e'  stato  confermato  dalla  sentenza   n.
213/2008  nella  quale,  richiamando  espressamente  la  sentenza  n.
244/1995 sopra citata,  la  Corte  costituzionale  ha  confermato  la
legittimazione  della  Corte  dei  conti  in  sede  di  giudizio   di
parificazione a sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale
«avverso tutte quelle disposizioni di legge che  determinino  effetti
modificativi dell'articolazione del bilancio per il fatto  stesso  di
incidere, in senso globale, sulle unita' elementari, vale a dire  sui
capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione, disegnati con  il
sistema dei risultati differenziali». 
    Puo',  pertanto,  ritenersi  che,  allo   stato   attuale   della
giurisprudenza  costituzionale,  il  giudizio  di  parifica  ha  come
oggetto la verifica delle riscossioni e dei pagamenti e dei  relativi
resti (residui)  e,  soprattutto,  ia  verifica  a  consuntivo  degli
equilibri di bilancio sulla base dei bilancio preventivo e  di  tutte
le disposizioni sopravvenute che ne hanno modificato la struttura. In
tal modo, il giudizio di parificazione si pone in linea con il  ruolo
di «garante imparziale dell'equilibrio economico  -  finanziario  del
settore pubblico» che il legislatore ha  attribuito  alla  Corte  dei
conti (al riguardo si rinvia a quanto sopra esposto al punto 1). 
    Cio' premesso, la  possibilita'  di  procedere  ad  una  parifica
parziale, gia' conosciuta  dalla  prassi  applicativa  (decisione  n.
36/CONTR/2011 delle Sezioni  Riunite  per  la  Regione  Trentino-Alto
Adige/Seidtirol, decisione n. 36/2014/PARI della Sezione Regionale di
controllo per la Calabria, decisione n. 46/201.4/PARI  della  Sezione
Regionale   di   controllo   per    la    Liguria,    decisione    n.
2/2014/SS.RR./PARI delle Sezioni Riunite per  la  Regione  Siciliana)
appare coerente con  l'oggetto  del  giudizio  che,  come  detto,  si
sostanzia  in  piu'  parifiche  distinte  delle  diverse  poste,  che
confluiscono sul risultato complessivo. 
    Nella fattispecie la parifica dei capitoli 59300  (UPB  DB902)  e
59350 (UPB DB902) in entrata, dei capitoli 200/0 (UPB DB09010) 156981
(UPB D620151), 156985 (UPB DB20151),  comporta  l'applicazione  delle
leggi regionali n. 16/2013 e n. 19/2013 che  li  hanno  istituiti  ed
evidenzia la rilevanza  nel  presente  giudizio  della  questione  di
costituzionalita' che si intende  sollevare.  E'  evidente,  infatti,
che, nella vigenza  delle  menzionate  leggi  regionali,  la  Sezione
dovrebbe parificare il rendiconto  della  Regione  Piemonte,  venendo
meno alle finalita' per le quali e' stata intestata a  questa  Corte,
tra le altre, la funzione di procedere alla parifica  dei  rendiconti
regionali. 
    Ancora a sostegno della rilevanza della proponenda ,questione  di
legittimita'  costituzionale,  va  evidenziata  l'incidenza  che   le
variazioni di bilancio approvate dalle leggi regionali n.  16/2013  e
n. 19/2013, sopra menzionate, hanno sull'equilibrio del bilancio, sul
risultato    d'amministrazione     e,     conseguentemente,     anche
sull'equilibrio dei bilanci futuri. Infatti, applicando  le  suddette
leggi regionali, il disavanzo d'amministrazione  dell'esercizio  2013
rimarrebbe  fissato  nell'importo  di  -364.983.307,72  esposto   nel
progetto di legge di approvazione del  rendiconto.  Invece,  se  esse
fossero   dichiarate   costituzionalmente   illegittime,   le   spese
finanziate con le anticipazioni di liquidita' ottenute ai sensi degli
articoli 2 e 3  del  decreto-legge  n.  35/2013  sarebbero  prive  di
copertura  e,  conseguentemente,   il   disavanzo   d'amministrazione
aumenterebbe del relativo importo (euro 2.554.603,200,01). 
    Al riguardo,  appare  opportuno  sottolineare  che  il  risultato
d'amministrazione  consente  di  accertare  l'equilibrio  finanZiario
complessivo  dell'ente.  Pertanto,  la  sua   esatta   determinazione
costituisce  l'oggetto  principale  e  lo  scopo  del   giudizio   di
parificazione che, come sopra detto, riguarda, non solo  la  verifica
delle riscossioni e del pagamenti e dei relativi resti  (residui)  ma
anche, e soprattutto, la verifica a  consuntivo  degli  equilibri  di
bilancio. Inoltre, trattandosi  di  disavanzo  d'amministrazione  che
deve  essere  obbligatoriamente  ripianato,  esso  condiziona   anche
l'equilibrio degli esercizi futuri. 
    Alla luce di quanto esposto, la Sezione ritiene che la  questione
di legittimita'  costituzionale  che  di  seguito  si  illustra,  sia
rilevante, atteso il diverso esito del giudizio a seconda che vengano
applicate o meno le disposizioni dl legge impugnate. 
    5. La Sezione  dubita  della  legittimita'  costituzionale  delle
leggi regionali 6 agosto 2013, n. 16 e 29 ottobre 2013, n. 19  -  che
hanno disposto le variazioni di bilancio  con  le  quali  sono  state
destinate le risorse finanziarie provenienti dai MEF, in virtu' degli
articoli 2 e 3 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35  convertito  in
legge 6 giugno 2013, n. 64 - in riferimento all'art. 81, quarto comma
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L.
cost. 20 aprile 2012, n. 1). 
    In particolare, i dubbi di costituzionalita' riguardanti la legge
n.  16/2013,  avente  per  oggetto  «Assestamento  al   bilancio   di
previsione per Panno finanziario 2013 e al bilancio  pluriennale  per
gli  anni  finanziari  2013/2015»,  sono  limitati  alle   variazioni
apportate in entrata mediante l'istituzione del capitolo  59300  (UPB
DB902) con uno stanziamento di euro  447.693.392,78  e  del  capitolo
59350 (UPB DB902) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, ed  in
uscita mediante la  istituzione  del  capitolo  200/0  (UPB  DB09010)
dell'importo di  euro  447.693.392,78  e  del  capitolo  156981  (UPB
DB20151) con uno stanziamento di euro 803.724.000,00, 
    I dubbi relativi alla legge n. 19/2013 riguardano gli articoli  1
e 2 che hanno  approvato  gli  allegati  A)  e  C).  In  particolare,
l'allegato A) ha incrementato di euro 660.206.607,23  in  entrata  il
capitolo   59300   (UPB   DB902)   ed   in   uscita   il    disavanzo
d'amministrazione 2012 da ripianare  (capitolo  200/0  UPB  DB09010);
l'allegato C) ha incrementato  in  entrata  il  capitolo  59350  (UPB
DB902) di euro 642.979200,00 ed in uscita ha  istituito  il  capitolo
156985 (UPB DB20151) con un stanziamento di pari importo. 
    In entrambi i casi, le poste in entrata sono  state  iscritte  al
Titolo V (entrate derivanti da mutui,  prestiti  o  altre  operazioni
creditizie) e quelle in uscita al Titolo I (spese correnti). 
    Al  fine  di  inquadrare  correttamente  la   questione   occorre
individuare la natura delle risorse erogate dallo Stato,  tramite  il
MEF, ai sensi degli articoli 2 e 3 dei decreto legge  n.  35/2013  e,
conseguentemente, la loro idoneita'  a  costituire  valida  copertura
delle spese finanziate. 
    Ritiene la Sezione che le risorse in questione costituiscono  una
mera anticipazione di cassa, definita dal legislatore  «anticipazione
di liquidita'», che avviene entro  un  plafond  predeterminato  dalla
legge e la cui restituzione, ed in cio' consiste la sua peculiarita',
e' prevista in un periodo non superiore a 30 anni. 
    Tale conclusione e' fondata sulle seguenti considerazioni. 
    In primo luogo  l'interpretazione  letterale  delle  disposizioni
evidenzia  il  carattere  di  anticipazione   di   tali   somme:   in
particolare, l'art. 2 comma 1 del decreto-legge dispone  testualmente
che le Regioni «che non possono far fronte ai  pagamenti  dei  debiti
... a causa di  carenza  di  liquidita'  ...  chiedono  al  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  ...  l'anticipazione  di  somme  da
destinare  ai  predetti  pagamenti».  Analogamente  il  primo   comma
dell'art.  3  autorizza  lo  Stato  ad  effettuare  anticipazioni  di
liquidita' alle Regioni «al  fine  di  favorire  l'accelerazione  dei
pagamenti dei debiti degli enti del  Servizio  sanitario  nazionale».
Ancora l'art. 2, comma  6,  prevede  che  «il  pagamento  dei  debiti
oggetto del presente articolo deve riguardare, per almeno due  terzi,
residui passivi in via prioritaria di parte capitale, anche  perenti,
nei confronti degli enti locali, purche' nel limite di corrispondenti
residui attivi degli enti locali stessi ovvero, ove inferiori,  nella
loro totalita'». Appare evidente che se le somme servono  per  pagare
residui passivi (cioe' spese gia' finanziate), non possono costituire
esse stesse ulteriore finanziamento. 
    Da un punto di vista sistematico  si  osserva,  inoltre,  che  il
legislatore, quando ha inteso erogare dei finanziamenti, non ha fatto
ricorso all'istituto  dell'anticipazione  ma  ha  utilizzato  diverse
modalita', come, ad esempio, e' previsto dall'art. 11, commi 6  e  7,
dello stesso decreto legge  n.  35/2013  per  il  trasporto  pubblico
locale della Regione Piemonte. 
    Depongono a favore della natura di anticipazione anche  i  motivi
di urgenza che hanno  determinato  l'emanazione  del  decreto  legge.
Infatti, nelle premesse del decreto  legge  e'  indicata  «l'assoluta
necessita'  di  predisporre  interventi  di  immediata  eseguibilita'
rivolti a graduare il flusso dei pagamenti, accordando  priorita'  ai
crediti che le imprese non hanno ceduto al sistema creditizio»  e  la
«straordinaria necessita' ed urgenza di  intervenire  in  materia  di
pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione»., 
    La stessa conclusione e' avvalorata anche dall'esame  dei  lavori
preparatori della legge di «, conversione, i  quali  evidenziano  che
l'intenzione del legislatore era di  considerare  l'erogazione  delle
risorse in questione quale mera anticipazione di cassa.  Infatti,  la
Prima Commissione della Camera dei Deputati  (Affari  costituzionali,
della  Presidenza  del  Consiglio  e  interni)  ha  espresso   parere
favorevole dopo aver valutato le  disposizioni  alla  luce  dell'art.
119, sesto comma, della Costituzione, ed ha  ritenuto  che  la  norma
costituzionale non  risultava  violata  «in  quanto  nel  caso  delle
disposizioni sopra citate  si  tratterebbe  di  un'erogazione  avente
natura di anticipazione di liquidita': come precisato in  particolare
in una nota della Ragioneria generale dello  Stato  -  consegnata  in
occasione dell'audizione della medesima sul decreto-legge in esame  -
sulla base delle vigenti regole contabili le somme da pagare da parte
degli enti  territoriali risultano, relativamente a quelle diverse da
spese di parte capitale, gia' iscritte in competenza, a fronte  della
fornitura del bene, del servizio  o  di  altra  prestazione  e  della
insorgenza  del  corrispondente  credito;  in  quanto   iscritte   in
competenza, le somme medesime non rilevano -  secondo  la  Ragioneria
generale dello Stato - ai fini della copertura e, per i riflessi  sui
saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito,
ma  non  sull'indebitamento,  su  cui  ha  effetto  solo   la   parte
riguardante i pagamenti di conto capitale; di conseguenza, secondo la
nota della Ragioneria, «non si tratta di un vero e  proprio  prestito
da includere nel campo di applicazione dell'art.  119,  comma  sesto,
della  Costituzione,  in  quanto  non  comporta  un  ampliamento   di
copertura finanziaria in termini di competenza, ma si configura  come
mera  anticipazione  di  liquidita',  a  fronte  di  coperture   gia'
individuate»  (parere  della  I   Commissione   permanente,   «Affari
costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni» sul disegno
di legge n. 676-A). 
    Infine, ad ulteriore conferma della tesi esposta, si osserva  che
l'art.  1,  comma   13,   dello   stesso   decreto   legge,   prevede
un'anticipazione  di  liquidita'  a   favore   degli   enti   locali,
sostanzialmente analoga  a  quelle  previste  per  le  Regioni  dagli
articoli 2 e 3, con la sola differenza che e'  concessa  dalla  Cassa
Depositi e Prestiti. Con riferimento a questa fattispecie ii MEF, con
nota del 7 maggio 2013 indirizzata alla predetta Cassa, ha  precisato
che per i debiti fuori bilancio puo' essere concessa  l'anticipazione
purche' essi siano stati preventivamente riconosciuti, prevedendo  la
relativa copertura finanziaria ed ha fornito  le  istruzioni  per  la
loro corretta contabilizzazione (entrata titolo V, spesa titolo III),
precisando  che   «l'anticipazione   di   liquidita'   non   comporta
ampliamento di copertura finanziaria in termini di competenza».  Tali
concetti sono stati confermati con  successiva  nota  del  28  giugno
2013, prot. n. 53240, indirizzata ad una Unione di comuni in risposta
ad  un  quesito  relativo  alla  corretta   contabilizzazione   delle
anticipazioni di liquidita'. 
    Non ignora la Sezione che  la  normativa  in  questione  presenta
alcuni  profili  di  ambiguita'  che  sembrerebbero  deporre  per  la
concessione di un vero e proprio finanziamento. 
    Innanzi tutto, va evidenziato che la  restituzione  delle  somme,
comprensive di capitale ed interessi, e' prevista per un periodo  non
superiore a 30 anni  mediante  la  predisposizione  di  un  piano  di
ammortamento, cosi' venendo meno la breve  durata  dell'indebitamento
che costituisce uno degli elementi caratteristici  dell'anticipazione
(Corte costituzionale sentenza n. 188/2014, citata). 
    Si evidenzia ancora che l'art. 3, comma 4, dello  stesso  decreto
legge, afferma che l'anticipazione in questione e' fatta  «in  deroga
all'art. 10, secondo comma, della legge 16 maggio  1970,  n.  281,  e
all'art. 32, comma 24, lettera b), della legge 12 novembre  2011,  n.
183H, norme che stabiliscono i limiti di indebitamento per le Regioni
(analoga disposizione e' contenuta nell'art. 1 comma 13 per i  Comuni
dove la deroga e' riferita agli articoli 42, 203 e  204  del  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267). 
    Altre  ambiguita'  si  rilevano  in  ordine  all'utilizzo   delle
anticipazioni nel settore sanitario: le previsioni normative,  da  un
lato,  fanno  riferimento  a  «anticipazioni  di  liquidita'»  ed   a
«pagamenti» (art. 3,  comma  1),  lasciando  intendere  che  trattasi
effettivamente di mera anticipazione di cassa,  dall'altro  prevedono
l'utilizzo a copertura per gli «ammortamenti non sterilizzati»  (art.
3, comma 1, lettera a) e  per  «mancate  erogazioni  per  Competenza»
(art. 3, comma 1, lettera b). Poiche'  queste  ultime  due  voci  non
avevano alcuna copertura finanziaria, potrebbe sorgere il dubbio  che
si possa fare riferimento a coperture di competenza, con  un  effetto
ampliativo della capacita' di spesa. 
    Tuttavia, qualora in  base  ai  suddetti  profili  di  ambiguita'
dovesse ritenersi che le somme in questione costituiscono un  vero  e
proprio finanziamento, e non una mera  anticipazione  di  liquidita',
sorgerebbero fondati dubbi sulla costituzionalita' del decreto  legge
n. 35/2013 in riferimento all'art. 119, sesto comma (al  riguardo  si
rinvia a quanto sopra esposto sui lavori preparatori). Cio'  comporta
che in base ad un'interpretazione  sistematica  e  costituzionalmente
orientata delle  norme  in  esame,  le  risorse  in  questione  vanno
considerate come delle semplici anticipazioni di cassa. 
    Peraltro, la  natura  di  mera  anticipazione  delle  risorse  in
questione e' stata affermata  anche  dalla  Sezione  autonomie  nella
deliberazione n. 19/2014, emessa ai sensi dell'art. 6, comma  4,  del
decreto-legge n. 174/2012, alla quale questa  Sezione  non  puo'  non
conformarsi. In tale deliberazione, infatti, e' affermato il seguente
principio di diritto «le Sezioni regionali di controllo,  nell'ambito
delle valutazioni di competenza finalizzate alla  salvaguardia  degli
equilibri di bilancio e delle regole  sull'indebitamento,  verificano
la corretta applicazione delle clausole contrattuali e  dei  principi
di corretta contabilizzazione  in  bilancio  delle  anticipazioni  di
liquidita' concesse ai sensi  degli  art.  2  e  3, decreto-legge  n.
35/2013, tenendo conto dell'esigenza di evitare che le relative somme
possano   concorrere   alla   determinazione   del    risultato    di
amministrazione,  generando  effetti  espansivi  della  capacita'  di
spesa». 
    Dalla ritenuta natura di semplici anticipazioni  di  cassa  delle
risorse in  questione,  i  dubbi  di  costituzionalita'  delle  leggi
regionali 6  agosto  2013,  n.  16  e  29  ottobre  2013,  n.  19  in
riferimento  all'art.   81,   quarto   comma   (nel   testo   vigente
antecedentemente alla modifica introdotta dalla L.  cost.  20  aprile
2012, n. 1) sembrano al Collegio non manifestamente infondati. 
    Si' osserva, infatti, che con la gia' citata sentenza n. 188/2014
la Corte costituzionale, dopo aver precisato che «l'anticipazione  di
cassa e' negozio caratterizzato da una causa giuridica nella quale si
combinano   la   funzione   di   finanziamento    con    quella    di
razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di
entrata, attraverso un rapporto di finanziamento a breve termine», ha
evidenziato che «la  causa  di  finanziamento  dell'anticipazione  e'
stata ritenuta compatibile col divieto di  cui  all'art.  119,  sesto
comma, Cost. nei casi in cui l'anticipazione sia di breve durata, sia
rapportata a limiti ben precisi e non costituisca surrettiziamente un
mezzo di copertura alternativo della spesa». 
    Tali principi sono espressi nell'art. 3, comma 17, della legge 24
dicembre 2003, n. 350, il quale dispone che  agli  effetti  dell'art.
119, sesto comma, della Costituzione non costituiscono  indebitamento
«le operazioni che non comportano risorse aggiuntive,  ma  consentono
di superare,  entro  il  limite  massimo  stabilito  dalla  normativa
statale vigente, una momentanea carenza di liquidita' e di effettuare
spese per le quali e' gia' prevista idonea copertura di bilancio». 
    L'anticipazione di cassa, pertanto, e' un indebitamento che ha lo
scopo di costituire la provvista di cassa necessaria per procedere al
pagamento di spese regolarmente impegnate e, quindi, finanziate. Cio'
che la distingue dalle  altre  forme  di  indebitamento,  oltre  alla
brevita' del termine di cui si e' gia' detto sopra, e' il  fatto  che
essa non determina un ampliamento della capacita'  di  spesa  perche'
non comporta la disponibilita' di risorse aggiuntive. 
    In  altre  parole,  l'anticipazione  di  cassa  si  distingue  da
operazioni analoghe, quali l'apertura di credito, proprio perche'  la
disponibilita' di denaro non puo' essere  utilizzata  per  finanziare
nuove spese, ma serve unicamente per far fronte, in termini di cassa,
a spese gia' regolarmente finanziate: proprio per  questo  motivo  le
anticipazioni  non  rientrano  nel  complesso  del  debito  pubblico,
rilevante  ai  fini  degli  obblighi  comunitari.  Giova   ricordare,
infatti, che la nozione di «indebitamento» fornita dall'art. 3, comma
17, della legge 24 dicembre 2003,  n.  350  e'  ispirata  ai  criteri
adottati  in  sede  europea  ai  fini  del  controllo  dei  disavanzi
pubblici; si tratta, in definitiva,  di  tutte  le  entrate  che  non
possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del
rispetto dei parametri comunitari (Corte costituzionale  sentenza  n.
425/2004). 
    Peraltro,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  affermato  che
«l'applicazione alle Regioni dell'obbligo  di  copertura  finanziaria
delle disposizioni legislative e' stata  sempre  ribadita  da  questa
Corte (ex plurimis, tra le piu' recenti: sentenze nn. 141 e  100  del
2010, nn. 386 e 213 del 2008, n. 359 del 2007), con  la  precisazione
che il legislatore regionale non  puo'  sottrarsi  alla  fondamentale
esigenza di chiarezza ed equilibrio del bilancio cui l'art. 81  Cost»
(sentenza n. 106/2011) e che, in relazione all'art. 81, quarto  comma
Cost., la copertura finanziaria delle spese  deve  essere  credibile,
sufficientemente sicura, non arbitraria o  irrazionale  (sentenze  n.
106/2011, n. 68/2011, n.  141/2010,  n.  100/2010,  n.  213/2008,  n.
384/1991 e n. 1/1966). 
    Le leggi regionali piemontesi  n.  16/2013  e  n.  19/2013  hanno
finanziato delle spese non previste in bilancio con le  anticipazioni
di liquidita' concesse dallo Stato in base agli articoli 2  e  3  del
decreto-legge n. 35/2013, ampliando conseguentemente la capacita'  di
spesa della Regione. Cosi facendo, sembra alla Sezione  che  esse  si
pongano in contrasto con l'art. 81,) quarto comma, della Costituzione
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla l.
cost. 20 aprile 2012,  n.  1),  essendo  prive  di  una  adeguata  ed
effettiva copertura finanziaria. In particolare, esse hanno  previsto
delle nuove spese - intendendosi per tali quelle che,  ai  sensi  del
principio stabilito dall'art 156, secondo comma dei  R.D.  23  maggio
1924 n 827, richiedono l'istituzione di uno o piu' capitoli  nuovi  -
senza     la     necessaria     copertura     finanziaria,     attesa
«l'inutilizzabilita' ai fini della copertura della spesa» di una mera
anticipazione  di   cassa   e,   conseguentemente,   hanno   alterato
l'equilibrio di bilancio. 
    Peraltro, il principio di copertura finanziaria  nelle  leggi  di
spesa sancito dall'art. 81, comma 4 vecchio testo, della Costituzione
e' confermato dal novellato testo dell'art. 81, al comma 3, vigente a
far data dall'esercizio 2014. 
    6. In conformita' alla  consolidata  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, la Sezione  ritiene  di  dover  verificare  se  siano
possibili ipotesi interpretative delle  citate  leggi  regionali  che
consentano di superare i dubbi di  costituzionalita'  sopra  esposti.
Con riferimento alla fattispecie in esame si tratta di verificare  se
le risorse erogate dallo  Stato,  tramite  il  MEF,  ai  sensi  degli
articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 35/2013, possano  costituire  una
valida  copertura  delle  spese  finanziate,  anche  facendo  ricorso
«all'archetipo negoziale  del  mutuo»  come  ritenuto  dalla  Procura
regionale. 
    A tal fine, appare fondamentale accertare la natura  delle  spese
finanziate con le leggi regionali  in  questione,  giacche',  ove  si
trattasse di spese di investimento, si potrebbe ritenere che le somme
erogate dal MEF siano un vero e proprio mutuo e verrebbero superati i
dubbi di costituzionalita' sopra prospettati. 
    Come  sopra   esposto,   le   leggi   regionali   sospettate   di
incostituzionalita' utilizzano le risorse del decreto  legge  35/2013
per finanziare parte dei disavanzo di amministrazione risultante  dal
rendiconto 2012, nonche' i trasferimenti alle  ASR  per  allineamento
con  la  situazione  patrimoniale  e  per  copertura  delle   perdite
derivanti dagli ammortamenti non sterilizzati. 
    In particolare, per quanto riguarda le spese relative al  settore
sanitario, le nuove spese previste sono i «trasferimenti alle aziende
sanitarie  regionali  per   l'erogazione   delle   risorse   di   cui
all'anticipazione  di  liquidita  ai  sensi  dell'art.  3,  comma   2
del decreto-legge 35/2013» (capitolo 156981) ed i «trasferimenti alle
aziende sanitarie regionali per l'erogazione  delle  risorse  di  cui
all'anticipazione  di  liquidita  ai  sensi  dell'art.  3,  comma   2
del decreto-legge 35/2013 e dell'art. 13, comma  6  del decreto-legge
102/2013» (capitolo 156985). 
    L'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 35/2013, richiamato nella
denominazione dei capitoli, prevede il  riparto  tra  le  Regioni  di
un'anticipazione  di  liquidita'  in  proporzione  ai  valori   degli
ammortamenti non  sterilizzati  (art.  3  comma  1,  lettera  a,  del
decreto-legge n, 35/2013), come risultanti  dai  modelli  CE  per  il
periodo dal 2001 al 2011,  ponderati  al  50%,  ed  ai  valori  delle
mancate erogazioni per competenza e/o per cassa  delle  somme  dovute
dalle regioni ai rispettivi servizi sanitari regionali  a  titolo  di
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale,  ivi  compresi  i
trasferimenti di somme dai conti di tesoreria e dal bilancio  statale
e le coperture regionali  dei  disavanzi  sanitari,  come  risultanti
nelle voci «crediti verso regione  per  spesa  corrente»  e  «crediti
verso regione per ripiano perdite» nelle voci di credito  degli  enti
del SSN verso le rispettive regioni dei modelli SP (art. 3, comma  1,
lettera b, del decreto-legge n.  35/2013),  ponderati  al  50%,  come
presenti nell'NSIS alla data di entrata in vigore del decreto-legge. 
    L'art. 13, comma 6, del decreto-legge  31  agosto  2013,  n,  102
convertito con modificazioni dalla legge 28  ottobre  2013,  n.  124,
richiamato nell'oggetto del capitolo 156985, si limita a prevedere la
possibilita' di accesso anticipato alle risorse stanziate dal decreto
legge 35/2013 per il 2014, per ie stesse finalita' dell'art. 3, comma
2, fino ad un importo pari all'80%  delle  somme  gia'  assegnate  in
attuazione della suddetta norma e dell'art. 3-bis  del  decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69, convertito con  modificazioni  dalla  legge  9
agosto 2013,  n.  98.  Quest'ultima  norma  prevede  che  le  risorse
ripartite  tra  le  Regioni  ai  sensi  dell'art.  3,  comma  2,  del
decreto-legge 35/2013 e non richieste dalle  stesse,  possano  essere
assegnate alle Regioni che ne facciano  richiesta,  «prioritariamente
in funzione dell'adempimento alla diffida prevista dall'art. 1, comma
174,  della  legge  30  dicembre   2004,   n,   311,   e   successive
modificazioni»   (la   disposizione   richiamata   e'   relativa   al
finanziamento del servizio sanitario regionale e prevede una  diffida
del Presidente del Consiglio dei ministri, con  successiva  eventuale
nomina  di  un  commissario  ad  acta,  qualora,   sulla   base   del
monitoraggio trimestrale, si prospetti una situazione di squilibrio o
si evidenzi un disavanzo di  gestione  e  la  Regione  non  adotti  i
provvedimenti necessari ovvero  quelli  adottati  si  siano  rilevati
insufficienti). 
    Dalla complessa normativa sopra esposta si evince che le spese in
materia sanitaria  finanziate  con  le  anticipazioni  di  liquidita'
costituiscono in via prevalente, se non esclusiva, spese correnti. 
    Con   particolare   riferimento   al   debito   derivante   dagli
«ammortamenti non sterilizzati», appare opportuno precisare che nella
contabilita'  economica,  adottata  dalle   aziende   sanitarie,   la
sterilizzazione  e'  il  procedimento  contabile  (consistente  nello
storno di una quota del contributo in  conto  capitale  iscritto  nel
patrimonio netto e alla sua imputazione a ricavo), mediante il  quale
viene  annullato  (per  l'appunto   «sterilizzato»)   l'effetto   sul
risultato d'esercizio dell'ammortamento  dei  cespiti  finanziati  da
contributi in conto  capitale.  Gli  ammortamenti  non  sterilizzati,
dunque,  comportano  un  aggravio  della  gestione  operativa  e  del
risultato d'esercizio delle aziende e la  conseguente  necessita'  di
copertura da  parte  della  Regione,  prima  del  2011,  invece,  gli
ammortamenti  non  sterilizzati  erano  sottratti  dalle  perdite  da
coprire da parte delle Regione  (circostanza  peraltro  stigmatizzata
nelle relazioni di questa Sezione regionale  di  controllo,  cfr,  da
ultimo la delibera 246/2011), dal momento in cui si  e'  riconosciuto
l'obbligo di copertura dell'intera perdita di esercizio  (comprensiva
delle predette voci non monetarie) anche per gli anni  pregressi,  e'
cresciuto  il   disavanzo   sostanziale   corrente   della   Regione,
corrispondente a queste mancate coperture. 
    Ad ulteriore conferma che  le  spese  in  questione  non  possono
essere considerate spese di investimento, si evidenzia che le  stesse
leggi regionali hanno iscritto le poste in uscita  al  titolo  primo,
nel quale trovano allocazione le spese correnti. 
    Per quanto riguarda il disavanzo d'amministrazione accertato  con
il rendiconto dell'esercizio 2012,  alla  cui  copertura  sono  state
destinate risorse per euro 447.693.392,78 e per euro  660,206,607,23,
si osserva che la copertura del risultato d'amministrazione  negativo
non e' compresa tra le operazioni che, in base all'art. 3, comma  18,
della legge 24 dicembre 2003, n, 350 costituiscono  investimenti,  ai
fini di cui all'art. 119, sesto comma, della  Costituzione.  Inoltre,
l'art. 193, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267,
esclude espressamente che, «per il ripiano  dell'eventuale  disavanzo
di amministrazione  risultante  dal  rendiconto  approvato»,  possano
essere utilizzate le disponibilita'  provenienti  dall'assunzione  di
prestiti. 
    Ad  ulteriore  conferma  che  le  spese  in  questione  non  sono
annoverabili tra quelle di investimento, vi sono i dati del conto del
patrimonio  dai  quali  non  risulta  alcun  incremento   dell'attivo
patrimoniale   che,    ipercuotendosi    nel    tempo,    giustifichi
l'indebitamento in questione, i cui oneri, giova ricordarlo,  saranno
a  carico  delle  generazioni  future.  In  particolare,   a   fronte
dell'iscrizione tra le passivita'  patrimoniali  del  debito  per  la
restituzione    delle    anticipazioni    per    complessivi     euro
2.554.603.200,01, tra le attivita' patrimoniali non si rinviene alcun
aumento corrispondente, anzi vi e' un saldo negativo delle variazioni
per complessivi -16.725.787,36 derivante dal saldo tra le  variazioni
in aumento (40.381.308,31) e quelle in  diminuzione  (57.107.095,67).
Come ha affermato la Corte costituzionale, «la ratio del  divieto  di
indebitamento  per  finalita'  diverse   dagli   investimenti   trova
fondamento in una nozione economica di relativa semplicita'. Infatti,
risulta di chiara evidenza che destinazioni diverse dall'investimento
finiscono inevitabilmente per  depauperare  il  patrimonio  dell'ente
pubblico che ricorre al credito» (Corte costituzionale,  sentenza  n.
188/2014, gia' cit.). 
    Conclusivamente, anche se si  volessero  qualificare  le  risorse
erogate dallo Stato, tramite il MEF, ai sensi degli articoli  2  e  3
del decreto-legge n. 35/2013, non come anticipazioni di cassa ma come
un  vero  e  proprio  mutuo,  i  dubbi   di   costituzionalita'   sul
finanziamento  delle  spese,  disposto  dalla  leggi   regionali   in
questione  non  sarebbero  eliminati,  ma  verrebbero   ulteriormente
rafforzati, giacche' risulterebbe violato l'art. 119 sesto comma, che
consente l'indebitamento solo per le spese  di  investimento,  e,  di
rimando, sempre lo stesso art. 81, quarto  comma  della  Costituzione
(nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dalla L.
cost. 20 aprile 2012, n. 1). 
    Infatti, come precisato dalla Corte costituzionale,  il  precetto
dettato dall'art. 119, sesto comma, e' inscindibilmente collegato  ed
integrato con altri principi costituzionali  quali  il  coordinamento
della finanza pubblica, di cui all'art. 117, terzo comma,  Cost.,  la
tutela degli equilibri di bilancio, di cui  all'art.  81  Cost.  (sia
nella precedente formulazione che in quella  introdotta  dalla  legge
costituzionale 20  aprile  2012,  n.  1,  recante  «Introduzione  del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»).  «In
definitiva, il valore  costituzionalmente  protetto  del  divieto  di
indebitamento per spese diverse  dagli  investimenti  trova  espressa
enunciazione nel predetto art. 119,  sesto  comma,  Cost.,  ma  viene
declinato - in modo  assolutamente  coerente  ed  integrato,  secondo
esigenze meritevoli di  disciplina  uniforme  sull'intero  territorio
nazionale - attraverso altri parametri costituzionali, quali i citati
artt. 81, 117, secondo comma, lettera I), e 117, terzo comma,  Cost.,
venendo ad assumere consistenza di vera e propria  clausola  generale
in grado di colpire direttamente -  indipendentemente  dall'esistenza
di norme applicative nella pertinente legislazione di settore - tutti
gli enunciati  normativi  che  vi  si  pongono  in  contrasto  (sulla
immediata precettivita' dei parametri  costituzionali  inerenti  agli
equilibri di bilancio ed alla sana gestione finanziaria, sentenza  n.
70 del 2012)» (sentenza n. 188/2014). 
    Risulta  in  ogni  caso  alterato  l'equilibrio   del   bilancio,
principio    «immanente    nell'ordinamento     finanziario     delle
Amministrazioni pubbliche», derivante sempre dall'art. 81  e  la  cui
rilevanza si e' molto accentuata negli ultimi anni, tanto  da  essere
formalmente introdotto  nel  testo  della  Costituzione  dalla  legge
costituzionale 20 aprile 2012, n.  1,  significativamente  intitolata
«Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale». Detto principio consiste nella «continua ricerca  di
un armonico e simmetrico  bilanciamento  tra  risorse  disponibili  e
spese necessarie per il perseguimento delle finalita'  pubbliche»  ed
e'  immanente  nell'ordinamento  finanziario  delle   amministrazioni
pubbliche in quanto derivante dall'art. 81 della Costituzione e  «non
si realizza soltanto attraverso il rispetto del meccanismo  autorizza
tono della spesa, il  quale  viene  salvaguardato  dal  limite  dello
stanziamento  di  bilancio,   ma   anche   mediante   la   preventiva
quantificazione  e  copertura  degli   oneri   derivanti   da   nuove
disposizioni» (sentenze n. 70/2012, n. 115/2012,  n.  250/2013  e  n.
266/2013).